"Li riportarono figli morti dalla guerra
figlie che la vita aveva schiacciato
e i loro orfani piangenti
tutti ora dormono sulla collina."
La Prima Guerra Mondiale fu forse il primo conflitto dell'era moderna, quanto a strategie e mezzi impiegati, ma, allo stesso tempo, fu probabilmente anche l'ultima guerra dell'800.
Rappresentò cioè l'ultimo grande conflitto nel quale risultarono ancora importanti, e in parte determinanti, almeno un paio di variabili belliche specificatamente "umane": il posizionamento di truppe lungo precise linee geografiche più o meno fortificate e, soprattutto, il gran numero di soldati contemporaneamente presenti in battaglia. Proprio questi due elementi però, unitamente all'impiego di nuove e drammatiche tecnologie di offesa, furono all'origine dell'elevatissimo conto dei caduti, specie se paragonati alla abitanti italiani dell'epoca e al numero delle "classi" di leva mobilitate allora dal Regno d'Italia.
La guerra creò nella popolazione un enorme vuoto generazionale che l'intera collettività nazionale a tutti i livelli, da quello strettamente locale, più emozionale, fino a quello economico, culturale ed istituzionale, dovette razionalizzare per superare il trauma psicologico della morte di così tanti suoi appartenenti, moltissimi dei quali molto giovani.
La nascita, più o meno artificiosa, del Mito della Grande Guerra e delle manifestazioni ad esso correlate - il culto dei caduti, la centralità dei reduci, l'epica della rievocazione e dell'illustrazione delle battaglie, e soprattutto la diffusa monumentalistica rievocativa - rappresentò un vero e proprio apparato rituale che ebbe grande importanza nel processo di superamento del lutti causati dalla guerra.
I monumenti ai caduti della Grande Guerra rappresentarono il cardine territoriale di questo apparato rituale, furono il modo attraverso il quale il Mito si radicò e raggiunse anche la periferia più lontana, sia dal centro della nazione che dai luoghi delle battaglie.
La loro costruzione, però, non rappresentò unicamente un movimento centrifugo organizzato e gestito dalle autorità, ma anzi, già immediatamente al termine delle guerra, si sviluppò proprio a livello locale assumendo forme e manifestazioni centripete, in seguito raccolte e utilizzate dal potere.
I luoghi stessi dove i monumenti vennero eretti erano e dovevano essere funzionali tanto alla memoria, quanto al processo civico e religioso di elaborazione del lutto.
La collocazione dei monumenti ai caduti doveva rispondere innanzitutto a precise esigenze di visibilità e di rappresentatività. Gli appartenenti alla comunità locale dovevano poterli costantemente vedere e considerarli parte integrante dello spazio comunitario: passarvi accanto nel corso delle attività giornaliere, deporvi dei fiori o fermarvisi di fronte permetteva ad ognuno di far propri quei morti e di rendere collettivo il loro ricordo, sentendosi consolati e rappresentati dalla loro morte. Grazie anche a una diffusa retorica ufficiale sulla Vittoria e sul sacrificio per la Patria, la rappresentatività civile dei monumenti determinò una progressiva attenuazione del loro valore strettamente funerario, rendendoli sempre più veri e propri elementi del panorama urbano.
I luoghi più comunemente prescelti per erigere i manufatti furono: le piazze principali dei paesi, l'area prospicente le chiese parrocchiali (quando non il sagrato stesso o dietro una chiesa), ma anche la piazza della stazione o i giardini pubblici.
Tutti luoghi comunemente e continuamente frequentati sia dagli appartenenti alla comunità, che da eventuali ospiti di passaggio. I monumenti venivano spesso eretti al centro di una piccola area verde arricchita di fiori, arbusti, siepi di bosso o cipressi. In ogni caso, anche in assenza di "verde", veniva quasi sempre creata una separazione fisica tra i monumenti e l'area circostante (con l'impiego di catene, cancelletti, piloni di varia forma) quasi a volerli collocare, e a delimitarne la presenza, all'interno di un preciso "luogo della memoria".
Le diverse collocazioni possono ancora oggi, forse, parlarci di una propensione in qualche modo più laica o, viceversa, più religioso-pietistica del governo comunale dell'epoca o dei singoli comitati di cittadini che commissionarono e organizzarono la posa dei monumenti.
Per un certo periodo il potere politico centrale cercò di stimolare l'organizzazione di veri e propri Parchi della Rimembranza. Essi prevedevano la presenza di un monumento ai caduti posto al centro di un parco in cui ogni albero, grazie alla presenza di una targhetta, veniva dedicato al nome di un caduto. Questa soluzione non ebbe, però, un grande seguito probabilmente perché, tendenzialmente, spostava i manufatti fuori dal centro urbano vero e proprio.
Vanno citati infine i casi, numericamente minoritari, di monumenti ai caduti posti all'interno o al centro del cimitero del paese.
Nell'ambito di questa ultima tipologia va specificatamente ricordato, rispetto al resto d'Italia, il significativo caso dei monumenti trentini collocati con una certa frequenza proprio all'interno dei cimiteri. Se, infatti, con i monumenti ai caduti si intendeva ricordare e glorificare il loro sacrificio per la Patria, va tenuto presente che, in diversi casi, i caduti trentini non morirono per la patria ma per il nemico, poiché molti di essi di essi dovettero storicamente combattere nelle file dell'esercito austroungarico, spesso su fronti molto lontani come la Galizia.
Questo influì notevolmente sulle vicende, così come sulle caratteristiche e sulle epigrafi dei monumenti locali determinandone la distinzione in due categorie: opere dedicate ai caduti trentini nell'esercito austroungarico, dove prevaleva una collocazione maggiormente pietistica in ambito cimiteriale, ed opere dedicate ai volontari dell'esercito italiano posti invece nelle piazze pubbliche.
Più in generale, per quanto riguarda la situazione dell'intero Triveneto, per motivi storico locali, si può osservare come in Friuli Venezia Giulia prevalga più spesso una collocazione laico-civile dei monumenti, mentre in Veneto, e ancor più, in Trentino invece tenda a prevalere una collocazione più vicina ai luoghi tipici del sentimento religioso delle diverse comunità.
Cosa rimane oggi, nelle nostre città e nei nostri paesi, del fenomeno dei Monumenti ai Caduti nella Grande Guerra ?
Tranne rarissime eccezioni, i monumenti originali dedicati ai caduti nella prima guerra mondiale si trovano ancora nella loro collocazione e "veste" originale, protetti non solo da un sentire comune ma anche da specifici collegamenti nazionali con il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra.
In molti casi, l'unica modifica rispetto all'originale è stata l'aggiunta di epigrafi, liste di nomi e fotografie che commemorano i caduti e i dispersi durante il secondo conflitto mondiale.
Su gran parte di essi ha però agito "duramente" il tempo, facilitato nel suo compito anche da una certa povertà media dei materiali costruttivi impiegati all'epoca. Molti risultano attaccati dalle intemperie, la pietra è colonizzata e macchiata dai licheni, croci e stelle sono spesso annerite dalla ruggine; le aquile hanno assunto il colore verdastro dell'ossidazione e a volte con qualche difficoltà si legge integralmente il testo di quelle parole che intendevano consegnarli "all'eternità".
Le foto dei caduti, dopo quasi un secolo, sono sbiadite dal sole e dall'umidità e i lineamenti risultano annebbiati quasi quanto il ricordo e la ragione della loro presenza in quel luogo.
Nel 2008, a novant'anni dalla fine della Grande Guerra, un certo numero di comuni ha rimesso "a nuovo" questi testimoni della vita cittadina con esiti, purtroppo, più spesso legati alle buone intenzioni, che non ai buoni risultati. Marmo e pietra viva sono stati "lavati", quasi sbiancati, il nero delle iscrizioni è stato pesantemente ritoccato, qualche statua in bronzo è stata drasticamente "lustrata", a volte è stato anche modificato l'impianto stesso del "recinto memoriale" in cui erano originariamente racchiusi.
Segnali, appunto, di buona volontà "estetica", ma forse anche, ulteriore sintomo di una sostanziale diluizione della memoria.
Diverso tempo inoltre è trascorso, e molti dei monumenti ai caduti non occupano più la loro originale e preminente posizione urbana, semplicemente perché lo spazio intorno è cambiato e cresciuto in misura ipertrofica e spesso disordinata.
Il cemento e il sovrapporsi successivo di dubbi canoni estetici hanno modificato il panorama di molti dei luoghi in cui furono originariamente eretti, finendo per sconvolgere non solo la loro collocazione ma conseguentemente anche la cifra memoriale della loro presenza.
Il processo di trasformazione da monumenti funebri a simboli civili del tessuto urbano assume oggi l'aspetto di un frutto sovramaturo: spesso osceni ed anonimi condomini soffocano l'ariosità originale delle loro forme, la viabilità locale li insidia sempre più da vicino, aree di parcheggio li confinano e li emarginano.
Ma sono soprattutto cambiate le persone. Sono sempre meno coloro che ne ricordano e riconoscono la presenza e il valore. Senza molti problemi ci si parcheggiano vicino le automobili, vi si appoggia una bici, li si nasconde con baracchini di giostre o sciocche iniziative comunali, addirittura ci si posiziona accanto un cassonetto dell'immondizia, violando quello spazio fisico originariamente dedicato al processo del ricordo.
La società del consumo ha ideologicamente spostato il baricentro dell'attenzione urbanistica, trasferendolo dalle chiese e dalle piazze verso i centri commerciali e le vie degli acquisti, dove ora si consuma gran parte della vita sociale.
Molti dei monumenti ai caduti sono dunque, oggi, veri e propri "oggetti invisibili", trasparenti al contesto stesso che li contiene. Nei loro confronti si è consumato quel processo di estraniazione che testimonia di un più generale processo di scissione moderna tra individuo e comunità di appartenenza.
Forse si è semplicemente esaurita la funzione di riconoscimento e di aggregazione comunitaria che era stato loro affidata all'epoca della costruzione e della collocazione.
La forza originaria del loro messaggio resiste, e si manifesta ancora, solo nei piccoli centri di campagna o di montagna, dove minori sono l'assedio urbano e quello delle coscienze.
Lì possiamo ancora provare il piacere sottile ed illusorio di sospendere il tempo e, in silenzio, sostare in questi luoghi di memoria "...ove il vento nel piegare l'erba sembra recare l'alito di una vastità remota, di una smisurata libertà...".