"Li riportarono figli morti dalla guerra
figlie che la vita aveva schiacciato
e i loro orfani piangenti
tutti ora dormono sulla collina."
"Monumento" è un'opera creata dall'uomo allo scopo di conservare in futuro la memoria di singoli avvenimenti. I monumenti eretti in molte città e paesi d'Italia a ricordo dei caduti nella Prima Guerra Mondiale rientrano a pieno titolo in questa definizione anche se questi, al momento della loro edificazione, assunsero un valore spesso ricco di significati simbolici in gran parte non presenti prima nella monumentalistica tradizionale.
Al contrario dei grandi cimiteri militari, i monumenti ai caduti non furono una novità sorta con la Prima Guerra Mondiale, ma certo dopo di essa si caricarono di nuovi significati.
Il gran numero di morti, la distruzione di molte città, le perdite che avevano colpito praticamente ogni famiglia di ciascun paese, insieme alla disastrosa situazione economica in cui si trovarono i vari stati alla fine della guerra, determinarono la necessità di razionalizzare e idealizzanre la memoria della guerra appena terminata, trasfigurandola in quel "Mito della Grande Guerra" necessario a dare senso e valore alla drammatica esperienza vissuta, fino a renderla quasi sacra.
La costruzione del Mito fu solo in parte un'operazione artificiosa, assumendo spesso per reduci e famiglie dei caduti un preciso significato di catarsi, di superamento del dolore e di riconoscimento comunitario. Di certo, il Mito venne utilizzato anche a fini politici e di propaganda.
Ciò che rende in qualche modo unici i monumenti ai caduti della Prima Guerra Mondiale sono l'idea e l'ideologia che ne stanno all'origine. Pur non avendo un legame diretto con i corpi dei caduti, la loro funzione non fu solo quella di celebrare il coraggio e il valore di un esercito o di ricordare dei soldati morti in battaglia, ma di identificarli singolarmente come eroi, vittime consapevoli e garanti di un dovere collettivo verso la patria.
Con la Grande Guerra i monumenti ai caduti cessarono di essere testimonianze anonime e su di essi iniziarono a comparire i nomi dei singoli soldati, nel tentativo generalizzato, anche se non esclusivo, di onorare ciascun morto in guerra non per delle gesta individuali, ma come parte di un progetto più "alto": quello di rendere potente l'idea di patria quale simbolo di aggregazione sociale.
I monumenti costituivano il centro focale del culto dei caduti, in quanto proprio loro, e non le singole tombe, servivano a commemorarne il sacrificio.
Attraverso di essi veniva inoltre celebrata una sorta di "uguaglianza" di fronte alla morte in battaglia indipendentemente dal grado militare di quanti avevano sacrificato la vita per la patria. Il gesto eroico di un soldato semplice veniva equiparato al valore di un alto ufficiale, ponendo quindi su uno stesso piano, attraverso l'iscrizione e l'esposizione collettiva dei loro nomi, individui che in vita erano stati invece separati da differenze sociali, economiche ed intellettuali.
Mito nel mito: si affermò dunque l'idea di una sorta di "democratizzazione" della morte.
Se l'obiettivo immediato dei monumenti ai caduti era la commemorazione dei soldati morti sul campo di battaglia, e in particolare di quelli originari della località in cui veniva eretto il monumento, i testi delle lapidi e il tipo di raffigurazione ne facevano emergere anche uno altrettanto importante.
Iscrizioni e sculture, infatti, tendevano a descrivere la guerra come sofferenza giusta e quasi necessaria; i soldati venivano rappresentati come eroi che, consapevolmente e volontariamente, avevano sacrificato la propria vita per la patria. Monumenti e lapidi presentavano dunque la Grande Guerra come momento di "grandezza" e di esperienza sostanzialmente "positiva" per la comunità civile. E' chiaro dunque che la loro progettazione aveva lo scopo non solo di offrire alle famiglie un conforto e una giustificazione per la morte dei loro cari, ma anche di costruire la memoria di una guerra "grande" che permettesse ai sopravvissuti di affrontare meglio una realtà sociale ed economica quotidianamente molto difficile.
Oggi prevale una visione dei monumenti ai caduti come veicoli di ideali politici, da quello repubblicano a quello nazionalista, e/o come testimonianze storico-artistiche ed architettoniche. Questo, però, è ciò che di visibile rimane a distanza di così tanto tempo ora che lutto e tragedia sono così lontani.
In realtà, per le generazioni che hanno vissuto la guerra i monumenti avevano, certamente, un significato politico, civile, artistico, estetico, economico, ma anche, senza dubbio, un importante significato strettamente "esistenziale".
Dal punto di vista specificamente artistico-architettonico, se a un osservatore contemporaneo molti di questi manufatti sembrano apparentemente "soffrire" di certe pesantezze stilistiche tipiche della fine ‘800, ereditate da movimenti artistici tipici dell'epoca, pure la loro bellezza attuale risiede ancora, proprio, in queste singole impronte e in questi sapori che caratterizzarono il passaggio verso la modernità del ventesimo secolo.
Alcuni sono molto semplici, piccoli obelischi sormontati da una croce o povere lapidi poste in piccoli borghi di campagna recanti liste di nomi e brevi iscrizioni.
Altri sono costituiti da imponenti, e a volte un po' pretenziosi, plastici gruppi marmorei o bronzei in cui prevalgono ora una "grandezza" tipicamente neoclassica, ora le volute e la leggerezza dell'Art Noveau, o ancora la fisicità e l'astrattezza di futurismo e cubismo.
Ma tutti appaiono animati dal desiderio di proiettare in avanti nel tempo l'epopea e i nomi di quanti diedero la loro vita nel corso del primo conflitto mondiale.
"...i ruderi fumano tempo grigio, mentre intorno alle cose nuove vibra l'elettricità del futuro, come un'aureola e come una maschera di vetro..." così scriveva F.T. Marinetti dell'architettura futurista di Antonio Sant'Elia, uno dei molti artisti dell'epoca, più o meno noti, che disegnarono o eseguirono Monumenti ai caduti della Grande Guerra nel corso degli anni '20.